La Nostra Storia


Noi crediamo di condurre il destino,
ma è sempre lui a condurre noi”
(Denis Diderot)

 

Se è vero che il destino è già segnato, è pur vero che bisogna saper cogliere senza indugi le opportunità che ci regala. E bisogna crederci, percorrendo i sentieri che ci indica fiduciosi di arrivare a quel traguardo che in partenza nemmeno intravediamo. E quando lo raggiungiamo scopriamo che non si tratta che di una tappa, che conduce ad altre tappe. E una meta finale forse neppure esiste.

È questa la storia del Maestro Giovanni Lucchi, della sua attività, della sua bottega.

Giovanni Lucchi tredicenne al contrabbassoNon è per scelta che si accosta alla musica, ancora bambino, e che lascia che diventi il tema portante della sua vita giovanile, ma è lui che decide, una volta arrivato al traguardo del diploma in contrabbasso al Conservatorio, di proseguire. Suona in diverse orchestre, in Italia e all’estero, cogliendo e rispondendo con entusiasmo alle occasioni che gli si presentano.

Non è per scelta che si accosta all’archetto, è il suo compagno di vita fin dai primi anni, lo impugna ogni giorno, lo porta con sé ovunque il destino lo conduca, ma è la sua volontà che lo induce a trasformare in opportunità una pura necessità. Gli anni passano, ormai otto da quando ha iniziato la sua attività di contrabbassista, e anche il suo archetto non è più giovanissimo, comincia a perdere i capelli, o meglio, i crini. Gli archettai sono pochi, alcuni riservano le loro maestrie solo per i violinisti più in vista, altri impegnano il loro tempo anche a favore dei musicisti meno avviati ma li privano troppo a lungo dei loro strumenti. Come spesso succede, quando non si puLiutaio Otello Bignamiò contare sugli altri è a se stessi che bisogna chiedere. È così che Giovanni Lucchi – incoraggiato da qualche consiglio del maestro liutaio bolognese Otello Bignami, conosciuto quasi per caso – si cala in questo mondo. Dapprima si limita a cambiare i crini del proprio archetto, poi comincia ad accontentare le richieste dei colleghi musicisti. Infine sceglie di andare oltre, spinto dalla curiosità e dal desiderio di approfondimento che caratterizzeranno tutta la sua futura attività. Decide di andare in Svizzera, dove lavora il noto archettaio Siegfried Finkel, decide di farsi guidare da lui nella costruzione di un primo archetto.calibro fisso per conicità

A partire dalle materie prime approfondisce lo studio di quest’arte, esperimenta, elabora, studia, non lascia niente al caso e, quando invece è proprio il caso a presentargli delle situazioni nuove, ne coglie subito l’importanza e le fa sue. Ne studia le cause, le radici, cercando di trasformare l’accidentalità in esperienza. E tutto ciò che impara, che collauda, che scopre, spontaneamente lo racconta, quasi le sue scoperte fossero un dono di cui il resto del mondo abbia diritto di fruire.

E proprio a dare concretezza a questa sua esigenza di divulgazione, ecco che nel 1976 riceve da Cremona l’offerta di insegnare nella prima Lucchi e Scolariscuola italiana per costruttori di archi, voluta dalle istituzioni locali. Ancora una volta il destino stava scegliendo per lui o, meglio, gli stava indicando un sentiero, un percorso che lo avrebbe condotto ad una meta o, forse, ad un’altra tappa. E decide di percorrerlo.

Da Bologna il trasferimento a Cremona, alla patria della liuteria, alla terra di Stradivari, portandoIl Maestro Lucchi con sé, quasi fossero membri della sua già numerosa famiglia, le sue scoperte, le sue abilità, le sue conoscenze, l’intuito e la sensibilità che nel frattempo aveva maturato.

Lì gli anni più arricchenti della sua vita, divisa tra l’insegnamento e l’attività artigianale, tra gli allievi a scuola e gli apprendisti in bottega, e sempre comunque tra legni e crini. A seguirlo, senza esitazioni, con la stessa sua decisione, la famiglia: oltre alla moglie, tre figliGiovanni Lucchi ritocca i crini di un suo arcoe e due figli, che ne condividono le scelte, l’entusiasmo, la passione. Massimo, il primogenito, accompagna il papà nei suoi viaggi, alla ricerca del materiale migliore, del legno più sonoro, del crine più resistente ed elastico. Marta, l’ultimogenita, segue il papà in bottega, lo osserva, lo studia, ne memorizza le mosse, impara dai suoi consigli, impara anche dai suoi errori, che sarebbe più corretto definire esperimenti, tentativi. Entrambi i figli capiscono che costanza, qualità, ricerca e precisione sono i requisiti dai quali non si può prescindere. E queste parole, apparentemente banali, descrivono in modo esaustivo ed immediato quella che è la prerogativa, la condotta di vita e professionale, del Maestro Giovanni Lucchi: la precisione nella costante ricerca della qualità. È il suo atteggiamento, forse il suo metodo, il “Metodo Lucchi”.Massimo Giovanni e Marta Lucchi

Lo stesso metodo è quello che viene ancora ricercato e insegnato, dopo la scomparsa del Maestro, nella sua bottega, dove i figli continuano l’attività del padre, con la stessa cura, le stesse attenzioni, lo stesso rigore, la stessa passione.

"Nell'arco di una vita" la biografia del Maestro LucchiSe c’è una cosa che ho imparato in tanti anni di lavoro è che non ci si può mai fermare, ogni risultato apre nuove porte e nuovi orizzonti sono lì, da esplorare”
(tratto dal libro autobiografico Nell’arco di una vita di Giovanni Lucchi)